Menopausa aziendale: fertilità e rigenerazione
20/05/2021
Social Unit News
Superare l'Ageismo per rinnovare la pratica organizzativa.
Scritto da Cristina Cortesi
Contributi di ricerca: Federica Previtali
La prerogativa femminile archetipica, la riproduzione, si colloca a pieno titolo nell'ambito della longevità organizzativa. L'azienda, quale nome di cosa singolare femminile, richiama ad un abbinamento intuitivo, ma il dato di realtà è che il maschile fa ancora la parte del leone a tutti i livelli.
Perché non parlare di andropausa organizzativa? Devo confessare che dall'alto dei miei 53 anni e dalla mia esperienza di perimenopausa desidero guardare il mondo da un punto di vista inedito, centrato su un vissuto di esclusione che si trasforma non in sterile provocazione o nella zampata di una pantera grigia nel suo tramonto, ma nella vitalità e fertilità umana e professionale che sento ora. L'andropausa è solo un aspetto che rinviamo, ma che intendo affrontare in futuro, cercando di avere un approccio sperimentale, lasciando il pensiero aperto il più possibile ad includere i temi e i generi.
L' invito è quello di aprire una finestra di riflessività e azione verso le organizzazioni e verso il loro invecchiamento. Quanto questa ultima parola faccia tremare le fondamenta delle aziende è direttamente proporzionale all'ageismo (discriminazione sulla base dell'età) in esse presente.
Menopausa e andropausa sono esperienze che il corpo aziendale non si nega, anzi saranno sempre più in aumento, ma è ancora un taboo affrontare le trasformazioni fisiche, psicologiche, culturali e relazionali, alle quali spesso neghiamo la possibilità di essere riconosciute in pienezza e non in carenza. Dove per pienezza, in inglese "wholeness", adottiamo il termine utilizzato da F. Laloux nel suo "Reiventare le organizzazioni":
[...] coniugare l'ego con la parte più profonda di sé, di integrare mente, corpo e anima, di coltivare sia la parte femminile che quella maschile,
di essere completi nella relazione con gli altri e di costruire la nostra relazione spezzata con la vita e la natura".
In questo tutto non possiamo includere solo la giovinezza, perché gradita ed estromettere l'anzianità, perché rifiutata, sia la propria sia quella del corpo aziendale. Non idealizziamo o svalutiamo l'uno a favore dell'altro. Chiaramente siamo in un desiderato che è ancora lontano dal reale, ma che urge, pena il disengagement e il depotenziamento delle risorse umane e creative, anche prima dei 40 anni. In rapporto alle giovani generazioni il rischio è quello di inficiarne la crescita sana ed equilibrata, che comporta la consapevolezza della longevità, rigiocando i progetti di vita e portando l'invecchiamento da una visione meramente decadente ad una visione rifondante. Tutto sta nel pregiudizio che condiziona le aspettative e le limita. L'invito è quello di uscire da una logica AUT AUT per abbracciare una logica ET ET, oltrepassando le generazioni ed il conflitto a esse assegnato, che personalmente non condivido e che trovo strumentale, per entrare nella rielaborazione del passato (una delle basi dell'intelligenza) e RIgiocare la RIgenerare. Ma come si attua tutto questo?
In primis vi propongo un semplice esercizio: pensate alla vostra prima reazione quando avete letto il titolo di questo articolo. Quale emozione e reazione avete al pensiero della menopausa? E verso l'andropausa? E verso l'invecchiamento? In uno dei film più geniali di Woody Allen, "Il dittatore dello stato libero di Bananas" il protagonista, Filding Mellish ha i brividi ogni volta che qualcuno dice "appendicite" e condivide questo vissuto con la donna che sta corteggiando. Ugualmente direi che è quanto mai attuale il brivido e la repulsione verso la parola menopausa oppure andropausa, così come vecchio o invecchiamento o vecchiaia. Qualcosa che nelle aziende non si può pronunciare, in generale sono termini antagonisti al giovanilismo imperante e all'idea di perdita collegata all'avanzare dell'età. Il contesto sociale è antiage e come tale ageissta. Travestita nell'inglese "ageing" e ancor rinforzata dalla parola "active" pare che vi sia un vero e proprio rifiuto psicologico nell'affermare l'invecchiamento nella lingua italiana, ancor più nel suo significato: il rifiuto che Re e Regine delle fiabe oggi non siano solo nudi, ma anche vecchi e che questo non li spoglia di dignità, a patto che lo sguardo che li osserva non sia ageista/etaista e quindi nemmeno la loro reazione.
L'esempio della menopausa ci aiuta a scoprire quanto la cultura sia più potente della biologia.
L'antropologa americana Marcha Flint [1] ha evidenziato che in paesi come l'India, la menopausa viene vissuta con molta serenità, meno disturbi e assenza di depotenziamenti, in quanto accresce lo status sociale delle donne. Lo stesso avviene in Israele, dove le donne arabe, una volta raggiunta questa fase, possono vivere più liberamente e acquisiscono maggiori diritti nella società. La sintomatologia della donna in menopausa non è quindi esclusivamente legata a livelli ormonali, ma al contesto, alla cultura della nostra società, che assegna all'invecchiamento fisico relativo una negazione assoluta e un conseguente etichettamento che porta all'avvilimento delle risorse preziose che ogni persona ha in seno.
Legittima l'esperienza del climaterio, quale passaggio nel quale si lasciano oggetti biologici ed esperienziali, per abbracciarne di nuovi, senza pregiudicare quella fertilità che sta nell'essere umano. Ecco perché è così essenziale conoscere l'invecchiamento fin dalla giovinezza. In questo fu straordinariamente avanti (modo di dire da giovani) lo psicopedagogista Fulvio Scaparro, nel suo libro "Storie del mese azzurro - la vecchiaia narrata ai giovani" (pag. 14):
Qui si parla di alcuni modi di essere vecchi e soprattutto si tenta di comunicare a voi ragazzi e ragazze un'immagine fertile e vitale.
Non è autoinganno né sciocco ottimismo: io e i miei compagni di avventura conosciamo in prima persona
i dolori, gli impedimenti, le malattie e la solitudine dei vecchi.
Vogliamo evitare però che a tutto questo si aggiungano anche gli stereotipi di chi ci crede incapaci di fertilità, speranze, sogni, vitalità.
Questa immagine preconfezionata di "vecchio" rende noi la vita più difficile, e quel che è peggio, toglie valore e prospettiva anche alla vostra vita.
Le logiche più radicate, per le quali l'invecchiamento è come una malattia, una patologia che deve essere debellata al suo insorgere conducono inevitabilmente alla riduzione del potenziale umano e al disengagement in tutte le attività, compreso il lavoro. Durante una conferenza in una multinazionale, nella quale portavo il tema all'attenzione dei lavoratori, una partecipante ha alzato la mano ed è intervenuta: "Qui siamo già vecchi a 40 anni, a volte anche prima. Non investono più su di noi". I colleghi hanno annuito, rinfornzando un concetto espresso dalla collega.
Recenti ricerche dimostrano come l'ageismo in azienda tocchi tutti i settori, dall' assunzione al pensionamento passando per la formazione, per esempio: datori di lavoro sono meno interessati ad investire nella formazione dei lavoratori anziani, over 50, rispetto ai colleghi più giovani [2], ed ancora, candidati con più di 45 anni hanno 3 possibilità meno di venir richiamati per un lavoro per cui hanno le stesse competenze che candidati più giovani [3]. In ambito lavorativo, pregiudizi su base d'età si uniscono e moltiplicano con i pregiudizi su base di genere, e di questo ne pagano le conseguenze soprattutto le donne, che infatti lasciano il lavoro tendenzialmente molto prima degli uomini, causando perdite economiche ed umane ad aziende e nazioni. La somma delle discriminazioni è sempre maggiore della sua somma a livello personale ma il loro costo per le aziende invece è chiaro: Wilson at al. [4] hanno dimostrato che ageismo comporta disengagement, e disengagement comporta, in una azienda da 10.000 persone, 5000 giorni di assenza, che sono 600.000 dollari, come costo economico, ogni anno.
È quindi vantaggioso guarire dalla Sindrome di Peter Pan, radicata in persone e organizzazioni, spolverizzando le ali con polvere di Trilli, la quale avrebbe oggi più di 125 anni (Peter Pan è stato scritto nel 1902).
Vivere comporta invecchiare.
Non invecchiare corrisponde a morire.
Queste due frasi stanno alla base del manifesto contro l'ageismo.
Se all'invecchiamento attribuiamo solo significati negativi di certo non ne usciamo vivi!
La comunicazione di massa è centrata sull'estenuante propaganda anti-age, che corrode e alimenta i bias negativi. E senza rendercene conto siamo in una trappola logica: non invecchiare = perire. In questa fatica esistenziale, in contante tensione verso un approccio mortifero, a un'organizzazione conviene, sottolineo conviene, abbracciare un'ottica biofila [5]. Invece di lottare contro l'invecchiamento, lottare per una longevità consapevole, nel vivere qui ed ora della realtà per la sua immensa possibilità prolifica, creativa e generativa che possiamo ottenere in ogni fase della vita.
Grazie alle scoperte neuroscientifiche riguardo al cambiamento e all'apprendimento, non possiamo più trincerarci dietro a frasi come "non puoi insegnare trucchi nuovi a un vecchio cane"! La neuroplasticità impone una revisione del concetto di cambiamento e degli stili di apprendimento, nonché di gestione delle risorse umane, di relazioni e anche l'approccio alla cura.
Si tratta di immettere nuova linfa a partire da una modificazione linguistica, legata alla comunicazione, ai modelli culturali, allo story telling personale e aziendale.
Nell'occuparmi di questo tema da oltre vent'anni mi rendo conto che con questo stesso spirito ho scritto la lettera motivazionale per la borsa di studio ad un Master in Diversity&Inclusion, vinta a 52 anni. Il mio socio lo scorso anno ha vinto un'altra borsa di studio a 53 anni, per il Master ICT for Development and Social Good. Mio figlio tredicenne reagisce così alla notizia del conseguimento della mia borsa di studio "Mamma, ma è ovvio, sei una Nerd". Un giorno matura, un giorno secchiona, un giorno vecchia, ma la realtà è che sono nel pieno della mia fioritura e del radicamento, costante nel tempo e che collego ad un approccio tras-formativo, di rielaborazione delle esperienze di vita. Sicuramente ho acquisito una grande capacità di reagire costruttivamente all'ageismo che ci colpisce e al subdolo autoageismo che è attivato in noi, come una malattia autoimmune, ma che può essere disabilitato.
Abbandoniamo l'idea paradossale che la vita inizi a 50 anni,
quale negazione che sia iniziata già da 50 anni appunto e non vi sia un magico punto nel quale si è padroni del tempo.
Anche perché questa affermazione è deleteria per i giovani: fino a 50 anni cosa starebbero facendo?
Qualcuno glielo deve pur dire: stanno invecchiando.
Stanno conquistando il tempo.
Possiamo partire da un significato attualizzato della parola invecchiamento e di tutto ciò che è in essa contenuto, ma ancora sconosciuto, del quale mi impegno a dilvulgare dal 1998, condividendo ora questo proposito anche con Federica Previtali, che ringrazio per il suo prezioso contributo.
Insieme impegnate a diffondere un pensiero e un linguaggio gerontologico, libero da pregiudizi e stereotipi sulle età.
È tempo di affrontare in consapevolezza e maturità che il nostro percorso di vita si realizzi proprio acquistando anni e non perdendoli, quindi fin dalla nascita e "verso l'infinto e oltre" come direbbe Buzz Lightyear! [6]
L'idea è quella di staccare l'etichetta della scadenza
applicando il bollino DURABLE.
Oltrepassiamo le generazioni, a partire dal non negarle, accogliendo i sintomi di un'organizzazione che è vivente, come tale sperimenta la menopausa, l'andropausa e quindi vive appieno la longevità.
Grazie per aver letto fino alla fine. Accogliamo commenti o aperture di dialogo sul tema, scrivi a cortesi@socialunit.it
* Cristina Cortesi, filosofa, formatrice, esperta di Caregiving e di contrasto all'Agesim (attiva nel campo dal 1998), Chief Happiness Officer e Genio* 2Bhappy, ideatrice e PM Social Unit, sindaca di Curopoli, la città della cura
* Federica Previtali, ricercatrice di dottorato in Psicologia sociale presso l'Università di Tampere (Finlandia) nel progetto ITN Euroageism, Master in Psicologia Organizzativa presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca, collabora con Social Unit
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1.Psychosomatics: Journal of Consultation and Liaison Psychiatry, 16(4), 161-163.
2. Harris, K., Krygsman, S., Waschenko, J., & Laliberte Rudman, D. (2018). Ageism and the older worker: A scoping review. The Gerontologist, 58(2), e1-e14.
3. Ahmed, A. M., Andersson, L., & Hammarstedt, M. (2012). Does age matter for employability? A field experiment on ageism in the Swedish labour market. Applied Economics Letters, 19(4), 403-406.
4. Wilson, D. C. (2006). The price of age discrimination. Business Journal, Available online at: http:// news.gallup.com/businessjournal/23164/price-age-discrimination.aspx
5. "Lotta contro e lotta per" E. Spaltro, ed. Celuc, 1977
6. Co-protagonista del cartone animato "Toy story"diretto da John Lasseter, prodotto da Pixar Animation Studio (1995)
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